Kiev, 2007, un venerdì mattina. Sono nella breakfast room del mio albergo, di solito abbastanza tranquilla. Stamattina no. Tavoli pieni, fila ai buffet e un insieme che sa di becero. Quasi come le pullmanate di turisti ma non proprio (ad esempio hanno un 10-15 anni meno e pretendono vestirsi con improbabile semi-formalità). Torno al mio posto con la marmellata, dove una brutta signora (in tutti i sensi) mi sta portando via la sedia: cristo, hai visto benissimo che era occupato, ci avevo già messo il cappuccino e qualcos’altro. Mi limito a fermare la sedia e a fulminarla. Realizzo cosa succede: il week end è di comizio elettorale e i politici hanno riempito gli alberghi con le loro clacques, morti di fame reclutati dalle campagne in cambio di qualche pasto a Kiev nel week end (in Ucraina la campagna non è come la nostra: lì le città sono città, fuori è desolazione). Vabbè, ma l’Ucraina è un Paese dove metti ancora in galera gli avversari politici con un pretesto (non che la bellissima Yulia sia un’educanda, sia chiaro, appartiene ad una delle famiglie più prepotenti del Paese); ed è un Paese di raccomandati, immanicati, che in fondo accettano un complesso d’inferiorità nei confronti dei russi, che li trattano con molto paternalismo, un po’ come dei fratellini rimasti piccoli. Faccio queste osservazioni dure nonostante sia rimasto davvero affezionato a Kiev, dove nel 2007 ho passato 1-2 settimane al mese tutto l’anno, a volte week end inclusi.
Monza, maggio 2012, il venerdì sera prima delle amministrative, in una pizzeria (la mia solita), con gli amici. Tempi duri, il Mario di venerdì sera ha sempre fatto 300 coperti, stasera invece ci saranno 4-5 tavoli occupati. Però vedo che metà sala è separata: di là è pronto un lungo ferro di cavallo. Ad un certo punto della serata c’è un po’ di movimento, tre tipi in completo percorrono il locale in lungo e in largo. I vestiti mi sembrano di buona fattura, ma l’insieme è inevitabilmente rozzo, aplomb decisi quanto ottusi. Niente a che vedere con le aitanti bodyguard del nano di cui ormai nei tg si riconoscono le facce: in comune, uno ha solo il ricciolino dell’auricolare. Poco dopo arriva un personaggio decisamente noto (anche senza la laurea albanese al figlio zuccone). Dire che è claudicante è poco, è molto più conciato di quanto sembra in TV. Lo aiutano a prendere posto. Inizia a mangiare anche se non è ancora arrivato nessuno, un’assistente gli taglia la bistecca: tristissimo. Poi arrivano pian piano, in tanti. Gente brutta, maleducata, anche se non sono rumorosi: un po’ sembrano depressi, un po’ sembra siano lì pensando ad altro. Ultimo arriva il sindaco uscente. Non posso evitare il parallelo con Kiev: una banda di morti di fame che si fanno reclutare a far numero per una bistecca scroccata.
E penso ai miei coetanei che si sono dati alla politica locale: erano tutti decisamente più somari di me, senza eccezioni. Vuoi perchè preferissero le chiacchiere, vuoi per testa di legno, vuoi entrambe le cose. Churchill diceva che la democrazia è il peggior modello esistente, eccettuati gli altri. Io ho sempre cercato di convincere chiunque che non votare è darsi la zappa sui piedi: se sono cialtroni con il tuo sguardo addosso, come sarebbero senza neanche quello? E lamentarsi di “tutti i politici” è troppo facile: vuol dire giustificarli a darti quel che ti aspetti, oltre che a giustificare te stesso di essere un po’ cialtrone e ladro nel tuo piccolo.
E continuo ad immaginare che a decidere per me dovrebbero esserci dei capitani che affondano con la nave, non degli Schettino, anche se i conti non mi tornano. Non credere all’antipolitica? Faccio sempre più fatica ad essere convincente anche con me stesso. Sarebbe politica quella cui assistiamo?
Un anno e mezzo fa, il mio blog era partito parlando molto più di un modello personale. Ho raccolto e raccolgo esperienze preziose. Ma a volte sembra di ostinarsi nella messa a fuoco di cose che non possono mettersi in scena, su uno sfondo come il tessuto in cui vivo.